CAI Vicenza

I Pozzi d'Acqua di Feiran

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Dal famoso monastero di S. Caterina nel Sinai del sud, a 1500 m di quota, scende una valle che, dopo 150 km circa , scavandosi la via verso ovest tra pareti di granito rosa, va a sfociare nel golfo di Suez, poco a nord della baia di Belayim.

E’ la valle di Feiran.

 

E’ sempre asciutta, arida, a parte pochi giorni all’anno tra dicembre e gennaio, quando le precipitazioni lo permettono, ed allora e’ percorsa da un torrentello che puo’ diventare anche terribile in occasione di piogge violente e concentrate nel tempo.

La sua forza cancella la strada, e trascina verso il mare una quantita’ incredibile di fango e detriti.

L’ultima nel 2003, quando con le ruspe si dovette fare un argine per deviare l’onda di piena e salvare i campi di lavoro di Belayim, dove sono anch’io.

Ma dopo quella, niente, piogge scarse e inconsistenti. Global warming pure qui? Pare di si.

Nella mia ultima visita all’unica oasi della valle, che si trova a circa 80 km dal campo, ho visto palme sofferenti, senza quel verde intenso indice di vitalita’. E in questa occasione ho avuto modo di conoscere chi scava i pozzi d’acqua.

I numerosi pozzi hanno un diametro di 2 metri, profondi in media 20 metri, e l’acqua estratta tramite una pompa elettrica.

Ora, con la scarsita’ di pioggia, la falda si e’ abbassata, e cosi’ occorre approfondire i pozzi.

Sono scavati a mano, con scarsi mezzi: tre tubi tipo Innocenti formano la struttura che regge una carrucola al centro del pozzo, legata con un orribile nodo di filo di ferro, nella carrucola passa un cavo metallico collegato in superficie ad un pick up, un’auto con il cassone, e dall’altra ad un bidone che porta su il materiale.

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Con lo stesso sistema scendono e salgono i beduini che, tolta la ghellabia, la tunica di tutti i giorni, in mutande e maglietta si infilano l’inbragatura,(una cinghia di trasmissione di auto in pessime condizione) collegano il moschettone (tondino di ferro piegato tipo gancio da macellaio) e si fanno calare giu’.

Di caschetto non se parla nemmeno e, viste le pareti del pozzo fatte di materiale decisamente instabile, mi vengono i brividi. Da speleologo che sono, se in una grotta trovassi un pozzo del genere, penso proprio che rinuncerei.

La squadra e’ composta da 5 persone, due scavatori, due che sostano alla sommita’ del pozzo e svuotano il bidone, e poi danno il cambio ai primi,e l’ autista del pick up che fa da ascensore – montacarichi.

Per raggiungere la tanto desiderata acqua sono arrivatia 40 metri di profondita’.

Non ci volevo credere e li ho misurati: proprio vero, 40 tondi tondi.

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La sicurezza rimane un concetto: da noi possiamo parlare di Kilonewton e coefficente di caduta, moschettoni e fettucce, corde e imbragature, qui c’e’ solo la necessita’ di trovare l’acqua per sopravvivere.

Tutto il resto viene dopo o ,semplicemente, non c’e.’

Con i beduini, nel mio arabo incerto, parlo dell’acqua, della loro mancanza cronica di lavoro, dei campi di marihuana coltivati nell’interno, ormai principale fonte di sostentamento delle tribu’ delle montagne, della differenza tra un emarginato “ Sinaui” nativo del Sinai, e un “Massaraui”, egiziano dell’altra sponda del canale di Suez.

Negano incidenti durante gli scavi, ma con poca convinzione.


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Mi offrono un te’ alla menta, in minuscoli bicchieri di vetro. Beviamo assieme, lentamente, come si usa qui.

El matara, el matara, la pioggia, che arrivi la pioggia.

a Presto.

 

Da Meda Maurizio

Abu Rudeis, Egypt, January 2nd, 2012

 

 

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